Sustainable data gap e gestione dei rischi climatici: possibili approcci e soluzioniArticolo a cura di Vittorio Scialoja, Associate Partner di Macfin Group

Governare i rischi climatici con strumenti innovativi

  • Le sfide che attendono gli intermediari finanziari sui rischi climatici
  • Gli strumenti disponibili per cercare di ridurre il sustainable data gap
  • I possibili approcci per governare i dati ESG nel medio-lungo termine

Rischi climatici e ambientali: le sfide per gli intermediari

Nel mese di aprile 2022 la Banca d’Italia ha diffuso le proprie aspettative agli intermediari finanziari in merito all’integrazione dei rischi climatici e ambientali (“le Aspettative”).

Tutti gli intermediari sono stati sollecitati a svolgere approfondimenti e valutazioni sulla rilevanza di tali rischi per la loro operatività a e definire soluzioni adeguate al riguardo. Alcuni di essi sono stati anche coinvolti dalla Banca d’Italia in una indagine per valutare il grado di applicazione delle Aspettative.

Nei mesi di novembre e dicembre 2022, la Banca d’Italia ha pubblicato due note[1] che sintetizzano le evidenze emerse nell’indagine, in cui sono indicate le problematiche che gli intermediari stanno riscontrando nella gestione dei rischi climatici e ambientali, e che devono affrontare per poter impostare piani di azione credibili, come richiesto dalle Autorità.

I punti di attenzione emersi riguardano, tra gli atri, tre aspetti principali:

  • l’integrazione degli obiettivi di lotta al cambiamento climatico nel modello di business, con la definizione di target e indicatori di sostenibilità attraverso cui monitorare le strategie aziendali;
  • la scarsa presenza negli organi aziendali di competenze sui temi climatici e ambientali unita all’indeterminatezza dei ruoli (es. strutture dicate, attività delle funzioni di controllo, ecc.) e ad un insufficiente sistema di reporting;
  • la scarsa integrazione dei rischi di sostenibilità nel sistema di risk management aziendale, fondata su una mappatura degli eventi di rischio emergenti ed una valutazione della loro materialità.

Sustainable data gap: strumenti e approcci

Le difficoltà riscontrate sono in parte riconducibili alla mancanza di risorse e skills, e in approcci ancora prudenti, ma specialmente alla carenza, sotto il profilo quantitativo e qualitativo, di dati e informazioni attendibili e fruibili sulla sostenibilità, che caratterizza l’attuale fase di transizione green.

L’indisponibilità di dati e sistemi informativi in grado di gestirli in modo appropriato, a cui si fa spesso riferimento anche l’espressione sustainable data gap, si riflette inevitabilmente in approcci qualitativi e poco strutturati, con un ricorso limitato a indicatori quantitativi di rischio (KRI) e di performance (KPI), a fronte di una richiesta normativa che va in questa direzione.

Lo strumento attualmente più impiegato dagli intermediari, in particolare quelli bancari, per raccogliere informazioni di dettaglio per la valutazione dell’esposizione ai rischi climatici sono i questionari che vengono spesso utilizzati per l’attribuzione di score ESG, a volte basati su metodologie quali-quantitative proprietarie ma più spesso determinati utilizzando applicativi di provider esterni.

Oggi il sustainable data gap è infatti attenuato soprattutto tramite il ricorso a servizi di data-providing privati, che forniscono informazioni che integrano quelle fornite dalle controparti, con stime basate su metodologie proprietarie non sempre adeguatamente documentate e trasparenti.

Un’altra soluzione è rappresentata dal ricorso a dati pubblici forniti da enti e organismi nazionali e internazionali quali, ad esempio, dati che descrivono le interrelazioni tra economia e ambiente nel contesto dei conti nazionali (i.e. livelli emissivi, inquinamento, politiche ambientali, ecc.), dei rischi ambientali del territorio (es. ISPRA), dei prezzi medi dei carburanti (es. Ministero della Transizione Ecologica) e dell’energia prodotta, distribuita o venduta sul mercato italiano (ARERA) [2].

Vi sono poi ulteriori fonti pubbliche, utili per la quantificazione e la valutazione dei rischi climatici e ambientali, che non sono attualmente fruibili ma che lo saranno a breve per via delle evoluzioni di mercato e regolamentari. Ad esempio, i dati disaggregati sui consumi energetici di famiglie e imprese e sull’efficienza energetica degli edifici potranno essere impiegati per misurare l’esposizione ai rischi di transizione sia a livello aggregato che per cluster specifici (es. geografico o settoriale) nonché per il calcolo delle emissioni di tipo Scope 2.

Al riguardo, un archivio di particolare interesse è costituito dal Sistema Informativo Integrato (SII) che contiene l’elenco dei contatori di tutti i clienti finali nazionali (famiglie e imprese), oltre che dati di natura contrattuale, e delle letture periodiche degli stessi.

I dati sulle prestazioni energetiche degli immobili (sintetizzati nell’Attestato di Prestazione Energetica o “APE”) sono invece attualmente censiti dall’ENEA[3] e potrebbero essere utilizzati per valutare l’esposizione al rischio di transizione di patrimoni immobiliari o di prestiti per l’acquisto di immobili, sulla base del principio che i mutui concessi per immobili meno efficienti espongono il creditore a maggiori rischi derivanti da eventuali tasse ambientali o da interventi volti a migliorare l’efficienza energetica che potrebbero rendersi obbligatori in futuro[4].

L’aggiornamento della Direttiva europea sulla Prestazione Energetica nell’Edilizia contribuirà a superare alcuni degli attuali limiti in tema di accessibilità e utilizzo dei dati in quanto prevede l’obbligo di creazione di una banca dati nazionale accessibile al pubblico sulla prestazione energetica degli edifici.

Sotto altro profilo, sono state già previste ulteriori iniziative normative volte a rendere fruibili nel medio termine i dati sulla sostenibilità delle imprese, come l’estensione del perimetro dei soggetti tenuti alla pubblicazione della dichiarazione non finanziaria (DNF), previsto dalla Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD), le nuove regole prudenziali sulla disclosure per le società finanziarie (SFDR) e la classificazione delle attività economiche in base al Regolamento Tassonomia. Tali normative in prospettiva dovrebbero contribuire ad una significativa riduzione del sustainable data gap all’interno della UE, aumentando qualità, quantità e comparabilità delle informazioni disponibili.

A fronte di tale contesto, la vigilanza chiede a tutti gli intermediari di compiere uno sforzo rilevante, nonché investimenti concreti, per migliorare le capacità di raccolta, produzione e archiviazione di dati nonché di analisi e modellizzazione, con un approccio critico rispetto alle soluzioni predefinite fornite da terze parti, anche di natura consortile (nel caso delle banche di minori dimensioni).

Sul punto, infatti, le Autorità hanno spesso richiamato l’attenzione sull’utilizzo acritico di tali servizi che, da valido strumento per l’integrazione delle basi dati e la valutazione dei rischi, possono trasformarsi in “black box” in cui gli intermediari perdono il controllo di informazioni chiave per i processi commerciali e quelli di risk management. A tale scopo, l’Autorità invita ad intensificare la ricerca di dati di buona qualità e l’attivazione di robusti sistemi di governo dei dati evidenziando che, l’eventuale ricorso a data provider esterni e a sistemi di rating non proprietari deve essere accompagnato dagli opportuni presìdi – in termini di trasparenza delle fonti, aggiornamento dei dati, robustezza dei metodi di stima e adeguata validazione da parte delle funzioni aziendali competenti – volti a tutelare l’accuratezza delle informazioni utilizzate.

Come governare i dati ESG 

Tali sforzi, vista la mutevolezza dell’attuale contesto, devono essere indirizzati nell’identificare soluzioni che siano scalabili, flessibili e aperte. Ovvero soluzioni che possono essere modificate nel tempo in funzione dell’evoluzione normativa e garantire la possibilità di interfacciarsi con altri sistemi e con le banche dati, sia private che pubbliche, che saranno impiegate a livello individuale e di sistema per la gestione della sostenibilità.

Da questo punto di vista un’utile soluzione per gli intermediari di minori dimensione, che non posso investire in complessi sistemi informatici ma neanche attendere cambiamenti strutturali nelle condizioni di mercato, è offerta dalle tecnologie low-code.

Il low-code può infatti aiutare gli intermediari ad intraprendere un percorso strutturato sui rischi climatici e ambientali, e a migliorare i propri rating ESG integrando rapidamente le fonti dati interne esterne, adattandosi ai regolamenti in evoluzione, assicurando visibilità, controllo e verificabilità, e incorporando i principi ESG nei processi operativi.

Tali soluzioni, infatti, possono abilitare anche processi di machine learning e contribuire in prospettiva a ridurre il sustainable data gap aziendale, ancorché sarà comunque necessario disporre di basi informative di dettaglio per calibrare metodologie ed algoritmi.

I piani che saranno predisposti dagli intermediari dovranno pertanto, come primo passo, individuare un approccio solido e “strategico” al processo di raccolta e gestione dei dati ESG, che sia orientato al futuro e tenga conto delle probabili evoluzioni che vi saranno in un’ottica pluriennale. Infatti, anche se oggi la pressione del regolatore e del mercato spinge verso soluzioni di immediato impiego, la transizione green durerà molti anni e cambierà completamente il modo di fare business e i processi di tutti gli intermediari.

Note

[1] Rischi climatici e ambientali – Indagine tematica su un campione di banche meno significative e su campione di intermediari non bancari.

[2] Questioni di Economia e Finanza, Dati e metodi per la valutazione dei rischi climatici e ambientali in Italia.

[3] Nel 2016 è stato creato il Sistema Informativo sugli Attestati di Prestazione Energetica (SIAPE), lo strumento nazionale per la raccolta degli APE e per il monitoraggio delle prestazioni energetiche degli edifici, che offre un’area pubblica con alcuni indicatori aggregati (es. classe energetica ed emissioni, differenziati in base ai parametri contenuti nell’APE, quali anno di rilascio, area territoriale, destinazione d’uso e dimensioni dell’immobile).

[4] L’utilizzo dei certificati energetici è stato impiegato nel calcolo dei Climate Stress Test avviato dalla BCE nel 2022 ed è previsto negli ITS pubblicati da EBA il 24 gennaio 2022. Il loro utilizzo è inoltre previsto nei Technical Screening Criteria per gli obiettivi di mitigazione e adattamento al cambiamento climatico della Tassonomia UE, relativamente alle attività 7.1 (“costruzione di nuovi edifici”) e 7.7 (“acquisto e proprietà di edifici”).

Vittorio Scialoja

Vittorio Scialoja

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